“Non siamo un Bancomat”. Umberto Solimeno, presidente Ibar, l’Italian board airline representatives, non si stancherà di ripeterlo, questo concetto, quando si parla di tasse aeroportuali.
Soprattutto in riferimento all’addizionale comunale sui diritti d’imbarco, che dall’inizio del 2016 è stata aumentata di 2,50 euro a passeggero, su decisione governativa. Una tassa che, al momento della sua introduzione, nel 2003, aveva il valore di 1 euro, con un incremento progressivo nel corso degli anni che ha portato il tributo agli attuali 9 euro (10 per Fiumicino).
La riapertura del Governo
Di recente, da parte del Governo, si è manifestata una certa disponibilità a ridiscutere il balzello che fa tanto infuriare le compagnie aeree: “Siamo fiduciosi che qualcosa si muova da parte delle istituzioni – dichiara Solimeno -: anche perché il patrimonio principale del nostro Paese è il turismo e non è giusto che ne paghino il prezzo i passeggeri, i nostri primi clienti”.
Anche perché il conto del tributo in questione è piuttosto salato: stando alle recenti rilevazioni Iata, l’aumento della sola addizionale comunale genera un mancato introito di 146 milioni di euro, una perdita di 2.200 posti di lavoro nel settore e oltre 750mila passeggeri annui in meno.
Il rischio di mancati investimenti
Il rischio che l’Italia si faccia dunque poco appetibile per gli investimenti dei vettori, sottolinea il presidente Ibar, è concreto: “Le compagnie long haul potrebbero essere tentate a disinvestire dal nostro mercato, e sappiamo che la minaccia giunta da alcuni player, seppure attivi sul corto e medio raggio, è concreta”.
Il riferimento è ovviamente all’aut aut avanzato da Michael O’Leary e dalla sua Ryanair alcuni mesi fa, che ipotizzava il taglio di una serie di operativi dall’Italia dal prossimo ottobre, se le tasse fossero rimaste così elevate. Una minaccia seguita poi da un ammorbidimento e una riapertura del dialogo da parte della compagnia aerea, a cui però ci si aspetta una risposta concreta da parte del Governo. R. P.
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